domenica 21 luglio 2013

Musica e filosofia (5)

L FILOSOFO AL QUADRATO DEFINISCE LA MUSICA
Parte quinta
La distinzione tra pensiero ed essere, cui la civiltà faustiana, la nostra, non saprebbe rinunciare se non a prezzo di un soffocamento intellettuale, del senso sgradevole di una distanza troppo ravvicinata e "corporea" con l'essere, è il discrimine che distingue la filosofia occidentale dalle altre tradizioni filosofiche. Nelle grandi scuole di pensiero radicate in Oriente, o nella meditazione intermedia, poetico-filosofica, dell'Africa pre-coloniale o dell'America pre-colombiana o dell'Oceania ancora di un secolo fa (illustrata quest'ultima, in Italia, dalla famosa antologia di Roberto Bazlen), il soggetto è a distanza ravvicinata con l'oggetto, la coscienza individuale con la "cosa", con il mondo. In Oriente, nello Zen come nel buddismo ortodosso, nel brahamanismo come nello scintoismo, l'esperienza vissuta è essa stessa un procedimento di conoscenza filosofica; in Occidente, la metodologia filosofica sconsiglia vivamente di confondere i due atti conoscitivi. E' accaduto in Occidente, per quasi tre millenni (da quando, cioè, le influenze orientali più antiche s'illanguidirono nella civiltà dell'Ellade), che si potesse scrivere un tratto filosofico sull'amore senza amare in atto (magari, con l'abito ecclesiatico indosso), o delineare i fondamenti di un'estetica senza essere artista e addirittura senza avere gusto per le cose d'arte, o discutere di musica in termini ontologici senza essere musicista e senza gradire particolarmente le bellezze della Tonkunst, note soltanto agli specialisti capaci di praticarla. Questo primato della teoresi significa anche impulso all'astrazione, ormai, dopo un'assuefazione di tremila anni, divenuto connotato genetico dell'uomo occidentale. Per combattere decisamente ogni ideologia dell'anti-eurocentrismo, non meno errata dell'ideologia sfrenatamente eurocentrica, diremo che la separazione tra pensiero ed essere sotto il segno dell'astrazione non è di per sé un male; è un segno connotativo, e ha garantito, guidata da intenti più che onorevoli e talora sublimi, la limpidezza del filosofare. Naturalmente, ha pagato un prezzo: da attività squisitamente umana, la filosofia è divenuta una "scienza" negata alla maggioranza degli uomini, chiusa nel proprio linguaggio. In prospettiva, ciò prefigura il destino della musica occidentale più recente, che nella sua ricerca di idee chiare e distinte, di purezza teoretica, si è allontanata dal pubblico che ascolta. Progressivamente, la condizione ancora originaria della filosofia occidentale in cui il filosofo partiva dal dato esistenziale (lo Stato, la povertà, la giustizia o ingiustizia, la morte di Socrate, l'indignazione per quella morte, la triade di peste fame e guerra) per poi avventurarsi lungo il vertiginoso cammino dell'astrazione, si è "purificata" aggravando la separazione. Più pura, certo, la filosofia, ma inevitabile la domanda: se per conoscere l'essere mediante il pensiero non dobbiamo "sporcare" il dato di partenza, non dobbiamo prendere le mosse da un pensiero contaminato dall'essere, ciò che alla fine conosciamo che cos'è? Essere, o ancora e sempre pensiero? Ecco la celebre questione del noumeno e del fenomeno, dibattuta da Kant: se per conoscere la cosa in sé (das Ding an sich), ossia il noumeno (l'oggetto nella sua verità, così com'è in sé indipendentemente dal nostro pensarlo e dal suo essere pensato da noi), dobbiamo attivare un'operazione intellettuale, l'oggetto non è forse un phainomenon, ossia qualcosa che noi conosceremo sempre e soltanto attraverso una mediazione, il nostro pensiero, appunto? E poiché, per conoscere, noi non possediamo altro se non il pensiero, esiste un altro mezzo per conoscere quell'oggetto? Ma allora la parola "conoscere" ha un senso? C'è da impazzire, e quando Kant parla in proposito di "disperazione della ragione" la frase va intesa in senso letterale: è probabile che l'impassibile filosofo di Königsberg soffrisse molto, interiormente.
Insomma, nella filosofia occidentale avviene, qualcosa di mostruoso, che tranquillamente viene studiato e storicizzato su tutti i manuali. La vicenda è, lo abbiamo detto, progressiva. Pitagora, Parmenide, Platone, facevano della filosofia partendo da eventi e da cose sotto gli occhi di tutti; quando si occupavano di matematica anche molto raffinata, parlano dei numeri come di psefoi (sassolini), poiché con i sassolini s'insegnava l'aritmetica a scuola e si facevano i conti della spesa al mercato di Atene o di Corinto; quando meditavano sulla musica e sulle leggi dell'armonia, partivano da una corda tesa, una vera corda materialissima. Il cammino della filosofia occidentale conduce gradualmente a una condizione di partenza in cui il filosofo prende le mosse dalla filosofia per fare della filosofia.
Ebbene, proprio il più radicale di questi filosofi al quadrato, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, fu giudicato, con giusta nemesi, l'uccisore della sofia avviata nel mondo mediterraneo da ionici ed eleati. Con Hegel, è stato detto, si attua la "fine della filosofia", ed è come quando per togliere da un panno bianco tutte le macchie nella maniera più radicale si dissolve il tessuto nell'acido corrosivo. In modo parallelo, a Hegel, uomo di per sé refrattario al fascino diretto della musica, è dovuta una delle più belle, intense e profonde meditazioni sull'arte dei suoni che mai filosofo abbia scritto. Nell'Estetica (1836-1838, postuma) c'è un'osservazione preliminare e fondamentale sul fine dell'arte, che è triplice: l'imitazione della natura, il risveglio dell'animo sospinto a grandi azioni, il "superiore fine sostanziale" che è la liberazione (ahimé, ahimé!) dalle passioni e dalle debolezze umane. La vocazione dell'Erlöser! E se qualcuno non volesse venire redento, purificato, spiritualizzato? Più avanti, Hegel affronta il "sistema delle arti", distinguendo tra un'arte simbolica, dedita ad elaborare la natura inorganica per farla diventare affine allo spirito (chi scrive si domanda, da una vita, che cosa sia lo spirito), e rappresentata soprattutto dall'architettura; un'arte classica, quella che nel tempio purificato del dio immette l'immagine del dio stesso, e fa muovere la natura inorganica, divenuta spirito, come appunto si muove lo spirito, e questo tipo di arte si concreta nella scultura; finalmente, un'arte romantica, quella in cui la natura divenuta spirito comincia a riflettere su se stessa e s'interiorizza, e tale categoria d'arte è molteplice e si articola in pittura, musica e poesia. Si riconosce, in questa classificazione, una traccia di alto stile, quella che deriva dal Laokoon di Lessing, ossia la distinzione tra le arti che vogliono simultaneità per essere percepite (le arti visive, scultura pittura e architettura) e quelle che esigono la successione temporale per loro stessa fisionomia interna (la poesia, la musica, la danza). La visione di Lessing è modificata da Hegel per quanto riguarda la pittura, associata piuttosto alla musica che non alla scultura.
Ecco come Hegel medita sulla musica, sia pure attraverso le parole dei suoi studenti che, coordinati da Heinrich Gustav Hotho, raccolsero le lezioni del maestro a Heidelberg e a Berlino. "Il materiale della musica, sebbene sia ancora sensibile, giunge ad una soggettività e particolarizzazione ancora più profonde [di quelle della pittura]. Il porre idealmente il sensibile da parte della musica va infatti cercato in questo: che essa supera l'indifferente coesistere esteriore dello spazio, la cui parvenza totale la pittura lascia ancora sussistere e a bella posta simula, e lo idealizza nell'individuale unità del punto. Ma il punto, che in quanto tale è negatività, è l'eliminazione in sé concreta ed attiva, entro la materialità, di tutto ciò che è movimento e vibrazione del corpo materiale in se stesso, e nel suo rapporto con se stesso. Tale idealità iniziale della materia, che non appare più come spaziale ma come idealità temporale, è il suono, il sensibile posto negativamente, la cui astratta visibilità si è mutata nell'udibilità; in quanto il suono scioglie l'ideale dal suo incatenamento nel materiale. Questa prima intimità ed animazione della materia offre ora il materiale per l'intimità e per l'anima dello spirito, ancora indeterminate, e fa risuonare e svanire nei suoi suoni l'animo insieme con l'intera scala dei suoi sentimenti e delle sue passioni. In tal modo, come la scultura è il centro tra l'architettura e le arti della soggettività romantica, così la musica costituisce a sua volta il punto centrale delle arti romantiche e forma il punto di passaggio tra l'astratta sensibilità spaziale della pittura e l'astratta spiritualità della poesia. La musica, in quanto opposizione di sentimento e interiorità, ha in se stessa, come l'architettura, un rapporto intellettuale di quantità e nel contempo il fondamento di una salda regolarità dei suoni e della loro combinazione".
La prosa è pessima, e assicuriamo i lettori che la traduzione italiana di Nicolao Merker è stilisticamente migliore dell'originale, così come garantiamo che il modo di scrivere adottato dai discepoli di Hegel e da Hotho in particolare non è molto dissimile da quello del maestro: chi ha letto la Fenomenologia dello spiritolo sa bene. Eppure, con tutto il mal gusto nello scrivere, è una pagina essenziale nella storia dell'Occidente; una pagina che spiega quasi tutto quel che è accaduto, e ci fa balenare promettenti splendori misti a raggelanti, equivoche luminescenze. Ne affidiamo il commento alla prossima puntata.
Quirino Principe
(Musica Viva, Anno XIV n.5, maggio 1990)

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